Via libera definitivo ai decreti legislativi da tempo annunciati ed attesi sul nuovo contratto a tutele crescenti, il riordino delle tipologie contrattuali e i nuovi ammortizzatori sociali. Approvati venerdì scorso dal Consiglio dei Ministri, dopo una maratona parlamentare di quasi due mesi, i decreti attuativi del Jobs Act (varati il 24 dicembre), insieme alle nuove disposizioni in materia di conciliazione, fanno entrare nel vivo la delega al Governo sulla riforma del lavoro (l. . 183/14).
Tra i proclami del premier che parla di “giornata storica” e di nuovo vocabolario per i precari che capiranno il significato di parole come “mutuo, ferie, diritti e buonuscita”, e le nette posizioni di contrasto, soprattutto dei sindacati, che annunciano guerra al Governo, la riforma cambia nettamente il mercato del lavoro italiano, attraverso l’introduzione del contratto a tutele crescenti, il superamento dei co.co.co. e dei co.co.pro. e dell’art. 18 per i nuovi assunti, e la previsione del sussidio di disoccupazione universale.
Di seguito, i cinque punti principali della riforma:
- Contratto a tutele crescenti Via libera al contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti che scatterà da marzo 2015. La neonata forma contrattuale si applicherà alle assunzioni del settore privato effettuate dopo l’entrata in vigore del decreto, insieme alla disciplina sui licenziamenti individuali e collettivi. Le norme si applicheranno anche ai sindacati e ai partiti politici, ma non riguarderanno i lavoratori del pubblico impiego.
- Riordino delle tipologie contrattuali Il principio di base del rapporto di lavoro sarà il contratto subordinato a tempo indeterminato. Questa la premessa del decreto attuativo sul riordino delle tipologie contrattuali che abolisce (anzi “rottama” per usare le parole del premier) i contratti a progetto e di collaborazione coordinata e continuativa a partire dal 2016 ma conserva di fatto diverse formule di precariato. Tra queste: il contratto a tempo determinato, con rinnovi fino a 36 mesi, il contratto di somministrazione, il lavoro a chiamata, i “voucher” elevati fino a 7mila euro, l’apprendistato e il part-time.
- Licenziamenti individuali e collettivi Addio al reintegro del lavoratore previsto dal vecchio art. 18 in caso di licenziamenti individuali “ingiustificati”, per ragioni economiche e disciplinari (fatta salva l’ipotesi in cui sia accertata “l’insussistenza del fatto materiale contestato”). In luogo del reintegro è previsto un indennizzo economico (da un minimo di 4 a un massimo di 24 mensilità) crescente con l’anzianità di servizio (sottratto quindi alla discrezionalità del giudice). Previsto anche il ricorso alla conciliazione facoltativa incentivata, ovvero alla possibilità di accettare una somma da parte del datore di lavoro, per rinunciare alla causa. Anche per i licenziamenti collettivi, nonostante il parere contrario delle commissioni parlamentari, in caso di violazione delle procedure o dei criteri di scelta, il decreto stabilisce che si applica la disciplina dei licenziamenti individuali.
- Demansionamento L’art. 55 del decreto sostituisce l’art. 2103 del codice civile, introducendo la possibilità del “mutamento delle mansioni” per il lavoratore. In realtà si tratta di una vera e propria legittimazione del demansionamento, perché, fermo restando il principio generale secondo il quale il dipendente dovrà essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore, il decreto prevede che, in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali (processi di ristrutturazione o riorganizzazione aziendale) ovvero negli altri casi individuati dai contratti collettivi, il datore di lavoro può modificare le mansioni assegnando il lavoratore ad un livello di inquadramento inferiore, conservando il medesimo trattamento retributivo (tranne che per gli elementi collegati alla precedente prestazione lavorativa). Viene prevista, altresì, la possibilità di accordi individuali, “in sede protetta”, tra il lavoratore e il datore di lavoro per prevedere la modifica del livello di inquadramento e della retribuzione “al fine della conservazione dell’occupazione, dell’acquisizione di una diversa professionalità o del miglioramento delle condizioni di vita”
- Ammortizzatori sociali Dal 1 maggio 2015 arrivano le nuove Naspi, Asdi e Dis-Coll. La prima è l’assegno di disoccupazione universale che durerà di più rispetto alla precedente Aspi (la metà delle settimane contributive degli ultimi 4 anni di lavoro) e spetterà ai lavoratori dipendenti che abbiano perso l’impiego cumulando almeno 13 settimane di contribuzione negli ultimi 4 anni ed almeno 18 giornate effettive negli ultimi 12 mesi. L’ammontare è commisurato alla retribuzione e non potrà eccedere i 1.300 euro, venendo ridotta del 3% al mese. L’Asdi è, invece, un assegno di disoccupazione introdotto in via sperimentale a favore di chi, una volta scaduta la Naspi, non ha ancora trovato impiego e si trova in situazioni di particolare necessità. L’assegno avrà una durata pari a 6 mesi, un importo pari al 75% della Naspi e potrà essere erogato fino all’esaurimento dell’apposito fondo di 300 milioni di euro. La Dis-Coll, infine, è l’indennità di disoccupazione destinata ai collaboratori con almeno 3 mesi di versamenti contributivi; avrà una durata pari alla metà dei mesi di versamento e in ogni caso non superiore a sei mesi. Quanto all’importo, lo stesso sarà rapportato al reddito e diminuirà del 3% a partire dal 4° mese di erogazione. Anche tale indennità, come le altre, è condizionata alla partecipazione alle iniziative di politiche attive.
Fonte:www.studiocataldi.it