Un grande malessere serpeggia nelle periferie delle città.
Tante sono le emergenze da affrontare: mancanza di sicurezza, disoccupazione, degrado, assenza di servizi, criminalità, spaccio, dispersione scolastica, immigrazione. Oggi i problemi di queste ampie aeree urbane, anche a Catania, non possono divenire alibi poiché se è vero che si scontano molti anni di abbandono è innegabile che lo stato attuale è anche effetto di politiche sbagliate.
Il Governo centrale deve agire immediatamente per favorire programmi di rigenerazione urbana, per riqualificare gli spazi degradati, per contrastare la disoccupazione dilagante e far ripartire la microeconomia delle zone marginali. Le zone franche urbane hanno dato i risultati sperati? È giunto il momento per una valutazione rigorosa di quella strategia di sviluppo.
Nella nostra città, per esempio, il completamento delle infrastrutture e delle opere di urbanizzazione primaria sono una priorità non più rinviabile. La periferia storica e il centro storico “minore” ad essa contiguo a ridosso della via Plebiscito, costituiscono un ambiente urbano ancora molto omogeneo che è necessario tutelare nella futura variante del centro storico.
Non siamo per una conservazione filologica o fine a se stessa ma per tutelare un patrimonio storico abitativo e un paesaggio storico urbano che rappresenta la nostra identità e cultura.
Le periferie rischiano di diventare polveriere se non si interviene nel tessuto sociale, con politiche attive del lavoro per contrastare la disoccupazione, la criminalità, per garantire la sicurezza e la legalità, con la realizzazione di servizi efficienti per migliorare la qualità della vita, con interventi strutturali per dare un volto diverso e dignitoso a queste brutte periferie, per creare spazi di sociabilità accoglienti e sicuri e ricostruire il tessuto delle comunità locali.
Da almeno trent’anni parliamo di periferie, denunciamo le condizioni di disagio, auspichiamo interventi risolutivi, che molte volte sono stati realizzati, ma sprecati dall’incuria e dalla mancanza di collaborazione tra le Istituzioni e i cittadini. Nonostante tutto le periferie restano tali, con la loro vitalità, le loro potenzialità, ma con i problemi di sempre.
La nostre periferie diventano sempre più multirazziali. Le comunità di migranti potrebbero essere, per le periferie e la città in generale, una risorsa, sociale, culturale ed economica, se non fosse per la paura e il rancore, alimentati dai media, che fomentando le guerre tra poveri accendono le micce di tristi conflitti razziali e ci allontanano dai valori che hanno sempre contraddistinto la parte migliore della nostra società, quali la tolleranza, la solidarietà, l’accoglienza, l’aiuto, l’integrazione…
Le periferie sono una risorsa, in quanto contenitori di culture, saperi, energie, tanto da poter diventare un volano per le città a patto di stabilire una continuità nei progetti di recupero e riqualificazione del territorio, trovare strade e risorse per alimentare i progetti senza le battute d’arresto che permettono il dilagare del disagio e del degrado.
Le periferie diventano risorse se si interviene sul capitale umano, produttivo, intellettuale e sociale di chi le popola con progetti culturali, educativi e di sviluppo da realizzare valorizzando le competenze e l’esperienza di quanti operano quotidianamente sul territorio: le scuole, le Parrocchie, le associazioni, le imprese.
Lo Stato, le Regioni e i Comuni dovrebbero investire sulle periferie migliorando “l’effetto città’’. Per perseguire questo obiettivo si dovrebbe favorire l’integrazione a tutti i livelli, migliorare la mobilità e i collegamenti, incoraggiare forme di sviluppo sostenibile, investire sull’innovazione, le energie rinnovabili, trasformando gli spazi oggi marginali in nuclei vitali delle smart cities, “città intelligenti” in grado di valorizzare il capitale umano disponibile.
Questa è una scommessa possibile, di cui un primo passo potrebbe essere delocalizzare nelle periferie servizi, uffici, scuole superiori, facoltà universitarie, spesso allocati nei centri delle città con effetti devastanti di appesantimento e congestione.
La localizzazione di funzioni sovralocali favorirebbe l’integrazione delle periferie nel sistema urbano, ricucirebbe la frattura fra periferie e “città” e sarebbe al tempo stesso di stimolo per l’economia della zona. Per tanti anni anche a Catania si è parlato della città multicentrica, della “città di città”, ma le resistenze al cambiamento sono state e sono fortissime. La nuova programmazione 2014-2020 è l’ultima opportunità e chiamata per la Sicilia che dovrebbe bene utilizzare questi fondi.
Orazio D’Antoni