Catania, ultimo atto ?

Le ultime vicende del Calcio Catania impongono una seria riflessione sulla città di Catania.

E’ da molti anni che la città continua a perdere prestigio sul piano nazionale e le ricadute sono tutte negative per lo sviluppo e l’economia. I recentissimi  fatti delle partite truccate per evitare la retrocessione in serie C, aggravate dal ricorso al calcio scommesse per corrompere giocatori consenzienti, lascia un segno difficilmente recuperabile sul piano etico e della credibilità. C’è un incredibile danno di immagine per la città e il territorio.

Credevamo alla lungimiranza di un imprenditore illuminato come il Presidente Pulvirenti che dal nulla è riuscito a creare una rete di supermarket, una rete alberghiera di lusso, una compagnia aerea la Windjet e acquisire nel 2004 il Catania Calcio riuscendo a portare e far permanere la squadra per otto anni in serie A. Il calcio a Catania era l’ultimo baluardo di una città che da molti anni ha intrapreso una china senza precedenti. Era l’orgoglio dei catanesi .

La domanda è d’obbligo: gli imprenditori catanesi sanno  fare impresa? O è un’imprenditoria assistita, niente rischio e tutto profitto? Un imprenditoria che non ama il rischio? Un imprenditoria che attraverso compromessi con la politica e altro, riesce solo a lucrare per se stessa senza creare sviluppo e occupazione duratura ma vive solo di stagioni? Sappiamo, dunque, veramente fare impresa a Catania e in Sicilia?

La doppia vicenda giudiziaria e sportiva di Pulvirenti e del Catania Calcio è da esempio negativo fa male ai catanesi e agli sportivi. Il sistema imprenditoriale siciliano, al di là di beghe, corruttela, furberie e di contiguità col mondo della politica e non solo,al suo interno non è capace di far veicolare modelli virtuosi d ‘imprenditoria, improntati ai valori della legalità, dell’etica e della moralità ed ispirati ad una vera cultura di mercato, dell’innovazione e della internazionalizzazione.

Catania è una città che ormai vive di ricordi come se il suo sviluppo e la sua crescita si è fermato inesorabilmente negli anni 60 e 70.

Non è più la Milano del Sud, è la brutta copia di una città dai lontani fasti che non ha più nulla da dire, che non ha gangli vitali, che la politica e certa imprenditoria deve fare i conti alla fine con le influenze nefaste della criminalità organizzata che si fa essa stessa imprenditore.

In città prevale la rassegnazione e il disfattismo, lo scetticismo e l’assenza di punti di riferimento. Fate una passeggiata nel salotto buono di Catania, di quello che resta del suo centro storico, osserverete degrado, saracinesche abbassate .E cosa resta della zona industriale di Catania?.Sono rimaste in poche le realtà produttive, è ormai tutto abbandono, strade dissestate con buche, assenza di segnaletica, capannoni abbandonati.

Manca anche quella vitalità culturale e artistica che ha caratterizzato per anni la città, che l’ha fatta conoscere e apprezzare nel panorama nazionale. Anche l’Università non è più ai livelli degli anni gloriosi del passato.

Credo che la responsabilità è sicuramente di noi Catanesi, del nostro carattere un po’individualista, della nostra mania di sentirci ‘’sperti’’ furbi,  tentando sempre di sopraffare e fregare il prossimo , non comprendendo che rispettando le regole, l’etica, ristabilendo  equità, i vantaggi sono per tutti.

E’ arrivato, allora, il momento di rimboccarsi le maniche e di lavorare per rifondare questa città nei valori perduti e soprattutto recuperare quel brand, quel marchio che è caratterizzato dagli elementi paesaggistici  naturali quale il sole, il mare, l’Etna e i beni culturali che per anni hanno attratto le attenzioni e gli interessi di tanti visitatori e turisti.

Riusciamo a cambiare mentalità e ad essere meno individualisti e più solidali?odantoni

 

 

 

                                                                                                               Orazio D’Antoni

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