Caffè senza rischio tumore
Nessun rischio tumore dal caffè: la tazzina è stata assolta da circa 20 esperti internazionali che hanno elaborato un atteso parere dello Iarc (l’agenzia dell’Oms per la ricerca sul cancro). Nel 1991 il caffè era stato valutato possibilmente cancerogeno (classificato come 2 b) per il cancro alla vescica. Dopo il nuovo esame entra nella categoria 3 dove non ci sono evidenze di rischio. Cio’ che viene ritenuto pericoloso sono invece le bevande troppo calde che possono causare il tumore dell’esofago.
L’esame da parte dello Iarc, ha messo sotto la lente di ingrandimento 500 studi circa che hanno permesso di declassare il rischio per la bevanda fra le più amate nel mondo. Gli studi degli anni ’90 infatti avevano rilevato un rischio maggiore per il tumore alla vescica e il consumo si caffè. Rischio poi non confermato dagli studi degli ultimi 25 anni che anzi ne hanno valutato addirittura, come testimoniato dalle pubblicazioni scientifiche, un effetto protettivo su due tumori: quello dell’utero e quello del fegato. Il parere valuta un consumo medio di 3-4 tazzine al giorno su una popolazione normale, cioè si persone che non soffrono di malattie come la cirrosi. Gli esperti in futuro analizzeranno anche le possibili relazioni fra te’ e tumori
Il secondo e poi il primo
Evitare che la glicemia salga troppo dopo un pasto equivale a una prova da sforzo per il metabolismo del paziente affetto da diabete mellito e l’idea che per affrontarlo fosse opportuno fare prima una specie di “riscaldamento” è alla base di uno studio pisano che ha messo in crisi il paradigma, molto italiano, del primo e del secondo.
La ricerca, presentata all’ultimo congresso della società italiana di diabetologia (Sid), è stata svolta presso il laboratorio di Metabolismo, Nutrizione ed Aterosclerosi dell’Università di Pisa, diretto da Andrea Natali, da due giovanissimi: Domenico Tricò, al secondo anno di specializzazione in Medicina interna, ed Emanuele Filice da poco laureato, che hanno sperimentato per 4 settimane su 17 pazienti l’inversione delle portate dei pasti principali dimostrando, spiega una nota dell’ateneo, che ciò “determina una riduzione significativa della glicemia post-prandiale e un miglioramento nei valori dell’emoglobina glicata, il parametro più importante per giudicare il controllo metabolico”.
Di recente, aggiunge Natali, “avevamo dimostrato che nei pazienti con diabete un antipasto costituito da proteine e grassi fosse in grado di ridurre marcatamente l’entità dell’innalzamento glicemico prodotto dalla successiva ingestione di carboidrati e come questo avvenisse per un marcato rallentamento dello svuotamento gastrico (indotto dai grassi) e potenziamento della secrezione insulinica (indotta dalle proteine), successivamente, per sfruttare a fini terapeutici questa specie di ‘pre-condizionamento’ indotto dall’antipasto, senza però aumentare le calorie della giornata, abbiamo pensato che il modo più semplice fosse invertire la successione delle portate ai due pasti principali e i risultati confermano che assieme ai più classici interventi farmacologici e sullo stile di vita, che restano comunque insostituibili, anche l’inversione degli alimenti è una strategia semplice ed efficace per curare il diabete, soprattutto nelle fasi iniziali della malattia(ansa)