Ai Cittadini Siciliani,
ai Candidati a Presidente della Regione
ai Candidati all’Assemblea Regionale Siciliana.
Le elezioni del Presidente della Regione e dell’Assemblea Regionale Siciliana, fissate per il prossimo 5 novembre, inducono a riflettere sui problemi della nostra Isola e, più a monte, sul senso medesimo della partecipazione politica in un periodo che rimane da anni segnato dalla transizione istituzionale.
La preoccupazione preliminare è che l’attenzione rimanga concentrata sui candidati e sulle loro reti di relazioni piuttosto che sui bisogni del territorio siciliano e sulle cose da fare, cioè sui programmi e sulla loro concreta fattibilità. La preoccupazione non è senza motivo perché da anni la Sicilia è terra che vede l’assetto politico dell’Assemblea alla fine della legislatura del tutto diverso da quello risultato all’esito delle elezioni, in sostanziale elusione del patto con gli elettori. L’attenzione sui candidati rafforza i vincoli personali; incrementa il pesante fenomeno delle clientele politiche, eredità del notabilato, zavorra ad ogni azione di efficace governo, impedimento ad ogni disegno riformatore.
Eppure, sono tanti i bisogni della Sicilia sui quali tutti siamo chiamati ad intervenire anche tramite la partecipazione al voto. In fondo, l’occasione elettorale richiede di fare un’analisi anche dei problemi dell’intera e complessa realtà siciliana, da quelli dello sviluppo sostenibile a quelli dell’accoglienza nei pesanti tempi delle migrazioni planetarie, fenomeno sul quale l’Isola mostra tanta generosità e che pure richiede capacità di governo a livello sovranazionale.
Sotto il versante politico per la Sicilia si tratta di ridefinire – se non di rifondare – l’assetto istituzionale: mettere mani allo Statuto del 1946 e riscriverne uno capace di ordinare i rapporti tra lo Stato e la Regione e valorizzare le competenze di quest’ultima; organizzare l’ente di area vasta (provincia o libero consorzio che si voglia chiamare), assestandone la struttura e indicandone le funzioni; dare sicurezza agli enti locali sotto il profilo normativocome riguardo le risorse disponibili; ordinare il complesso mondo degli enti regionali, abbandonandone la considerazione di feudi da occupare per il sottogoverno e facendone soggetti di regolazione dei rispettivi settori, se non di sviluppo; riorganizzare la struttura burocratica che per alcuni versi appare succube del ceto politico, ma per altro verso risulta essere il soggetto che effettivamente decide, in un’inammissibile confusione di ruoli.
Prioritario settore di intervento è appunto quello di ridefinizione delle regole, che non possono essere conformate di volta in volta secondo le opportunità di questo o quel soggetto, ma sono «patrimonio comune» di una società civile prima ancora della classe politica.
Ciò costituisce il presupposto medesimo del principio di legalità ad ogni livello ed in ogni ambito: il rispetto di regole stabili incrementa la diffusione di pratiche virtuose nelle vicende amministrative come nelle attività economiche, per evitare che l’azione amministrativa sia un «favore» scambiato con il portatore di qualche interesse, e che l’iniziativa economica si trasformi in strumento per attribuire ricavi ai privati ed addossare alla comunità i costi di produzione. L’esempio tipico è quello dell’ambiente naturale siciliano e del suo patrimonio artistico e culturale, che da decenni sono sottoposti a vere e proprie violenze, incoraggiate anche da leggi o promesse di sanatoria.
Le regole sono anche il presupposto dello sviluppo economico, che non può non essere nel programma di ogni classe dirigente. L’intervento della Regione è certo all’interno di una cornice che vede protagonista il fenomeno della globalizzazione e fa assumere ruoli decisivi ad altri soggetti, di livello statale e sovranazionale, primo fra altri l’Unione Europea. Eppure si avverte che la Regione deve assumere tutte le iniziative possibili, anche per non rimanere sola a gestire le situazioni di crisi occupazionale.
L’Isola ha perso e continua a perdere posti di lavoro; laureati e professionisti emigrano, se non addirittura «scappano»; il lavoro femminile rimane ancora di serie «B»; quello giovanile è una specie di sogno non realizzato; la formazione al lavoro dei giovani e dei minori rimane drammaticamente bloccata.
Alcune volte la Regione appare «senza speranza», in una deriva economica inarrestabile, specie dopo che misure di tipo assistenzialistico risultano sempre più impossibili per la scarsità di risorse.
Pur nella consapevolezza che non esistono «ricette» per lo sviluppo economico, il ceto politico deve porsi il problema di affrontare le emergenze, ma anche di porre le premesse per le occasioni di crescita: favorire la creazione di «centri di eccellenza» capaci di trattenere i giovani ed addirittura attrarre in Sicilia «cervelli» e risorse;sostenere l’innovazione tecnologica; invertire nel campo della sanità il fenomeno dei «viaggi della speranza»; investire in formazione, che è condizione di ogni sviluppo; aiutare le imprese agricole, artigiane e micro-industriali in quei settori come l’alimentazione, l’abbigliamento, l’arredamento, che caratterizzano il cosiddetto «made in Italy» e che creano distretti economici stabili.
Anche nei campi in cui per la Sicilia si tratta di ridefinire con lo Stato e con l’Unione Europea gli strumenti di tassazione e di fiscalità di vantaggio, occorre avere la consapevolezza di contribuire ad elaborare regole praticabili e generalizzabili, che non siano considerate benefici elargiti per la sola Regione.
Il protagonismo dell’Isola, infatti, va sviluppato sul piano politico come su quello economico ed istituzionale, facendo assumere alla Regione un ruolo di guida nel contesto italiano ed europeo: la Sicilia non può più permettersi di essere un’«isola» esposta al rischio di diventare «isolata», ma al contrario deve investire tutta se stessa nel farsi «laboratorio di idee e di attività», soggetto di riferimento quantomeno in ambito nazionale. Una Sicilia che sappia essere leader, che non perda la speranza, e dove non prevalga l’idea che niente possa cambiare e che è inutile ogni impegno.
Per questo insistiamo con i nostri concittadini perché il 5 novembre partecipino alle elezioni e non deleghino ad altri le loro scelte. Intendiamo proporre a tutti i cittadini siciliani un metodo di democrazia partecipativa. L’impegno di tutti per una sana politica democratica dovrà continuare dopo le elezioni. Pertanto, invitiamo a non limitarsi solo al confronto preelettorale, ma anche ad un impegno per un “controllo” post elettorale, per monitorare l’attuazione dei programmi e per denunciare le eventuali inadempienze sia nei confronti dei candidati come dei loro programmi. La scelta dei candidati sia basata sulla loro qualificazioneprofessionale, sullacreatività di fronte alle gravi sfide della nostra Sicilia, sulla coerenza etica personale.
Chiediamo ai Candidati Presidenti ed ai Candidati all’ARS di «scommettersi» già durante la campagna elettorale sulle cose da fare e, una volta eletti, di rendere conto di quanto avranno fatto: della situazione trovata, delle iniziative assunte, delle nomine fatte, delle modalità adottate, dei risultati conseguiti. Gli chiediamo di indicare le loro priorità ed anche i tempi per realizzarle, quasi in una sorta di cronoprogramma dei “primi cento giorni”.
Per gli elettori come per i Candidati si tratta di una «sfida» che deve continuare dopo il 5 novembre a fronte di una Sicilia che mostra tutta la sua debolezza ed è cosciente di dover operare un «salto» verso la modernità.
LABORATORIO PER LA CITTA’ – CATANIA