Il 19 settembre sc. è morto a Terrasini mons. Luigi Bommarito, Arcivescovo emerito di Catania.
Il Corriere Etneo ha chiesto a Don Salvatore Alì, suo segretario personale negli annicatanesi, un ricordo del presule. A seguire il testo, pubblicato in rete il 21 settembre.
Il motto episcopale che Sua Eccellenza Mons. Luigi Bommarito scelse quando fu eletto vescovo ausiliare di Agrigento fu “Ecclesiam dilexit”, “Ho amato la Chiesa”. E mai un motto episcopale è stato così indicativo di chi lo sceglie. Sì, Mons. Bommarito ha amato la Chiesa con l’intensità e la totalità della sua persona, tanto da donare tutta la vita per il bene della Chiesa che per lui ha assunto il volto della Chiesa di Agrigento prima e di quella di Catania dopo. Se ad Agrigento donò l’entu-siasmo della sua giovinezza, a Catania ha testimoniato la solidità e la ricchezza del suo ministero episcopale.
Tutti riconoscono che i quattordici anni di episcopato a Catania di Mons. Bommarito, hanno rappresentato una vera e propria “primavera” non solo per la realtà ecclesiale, ma anche per la realtà sociale, per la sua presenza costante e i suoi interventi forti e illuminanti in tutte le situazioni belle e meno belle che in quegli anni hanno caratterizzato la vita della Città e della Diocesi.
Sì, l’amore è stata la cifra dell’episcopato di Mons. Bommarito. Tutti si sono sentiti amati, tanto da rimanere scolpito nel cuore e nella memoria di ogni catanese. In particolare io, essendo stato il suo segretario personale per ben cinque anni, ho potuto non solo sperimentare questo amore personalmente, ma posso testimoniare come ogni cosa che pensava e chiedeva, promuoveva e realizzava scaturiva e portava il segno di questo suo grande amore.
Da subito Mons. Bommarito ha accolto nel suo cuore la nostra Chiesa di Catania e l’ha amata e servita come una sposa, cercando in tutti i modi di renderla bella e viva con l’abbondanza delle iniziative che, in quegli anni, hanno effuso una ventata di entusiasmo e di zelo pastorale.
Come dimenticare il Sinodo dei giovani, esperienza coinvolgente del mondo giovanile, che ha gettato le basi per la futura pastorale dei giovani e che aveva ogni anno il suo apice nella Pentecoste dei giovani. E come non ricordare la vicinanza alle famiglie che amava incontrare ogni anno; la preparazione al Giubileo del duemila che coinvolse tutte le parrocchie in una serie di riflessioni sulla Trinità e le aprì alla missione. E poi la Visita pastorale, passaggio di grazia in tutta la diocesi e la storica visita di San Giovanni Paolo II, rimasta negli annali della Città di Catania e della nostra Diocesi. E ancora la parrocchia missionaria a Migoli, la pinacoteca dei Vescovi catanesi, la casa del Clero S. Francesco, il Santuario della Madonna della Roccia, la festa di S. Agata che grazie a Lui si aprì al mondo delle Comunicazioni sociali diventando un evento mondiale. Un pastore che precedeva sempre il suo gregge, lo spronava, lo incoraggiava, indicava i sentieri da percorrere e i pericoli da evitare.
Un amore che, come pastore e padre, ha riversato in modo particolare verso i sacerdoti. Il fatto che desiderava essere chiamato “Padre vescovo” e ci chiamava “figli miei”, ci dice quanto teneva ai suoi sacerdoti. Si informava di tutti, visitava tutti, incontrava tutti. Andava alla ricerca di chi sfuggiva alla sua attenzione e al suo affetto, come il pastore che va alla ricerca della pecorella smarrita. Qui un ricordo personale: ogni volta che uscivamo per andare a celebrare in qualche parrocchia o per altri impegni, mi chiedeva di anticipare la partenza dal Vescovado, perché amava passare da qualche chiesa a salutare il parroco e chiedere come stava. Oppure andavamo a trovare chi era in ospedale, o ricoverato in una casa di riposo. Voleva bene a tutti i suoi sacerdoti, ma aveva un debole per i più “irrequieti” e chi, a volte, lo trattava male. Mi ricordo che un giorno, ad una mia giovanile protesta di fronte ad un gesto di affetto verso un sacerdote che lo stava facendo soffrire molto, mi rispose: “anche lui è figlio mio e lo devo voler bene”. Questo amore e questa vicinanza al clero l’ha conservata sino all’ultimo: in questi anni di riposo a Terrasini non è mai mancato nel farci gli auguri per gli anniversari o semplicemente per chiamarci e informarsi su come stavamo. Ci mancheranno le sue improvvise chiamate che lasciavano una carezza nel cuore.
L’amore per il sacerdozio lo esprimeva
anche attraverso l’attenzione per il Seminario e la promozione delle vocazioni
sacerdotali. Lui stesso amava dire che il Seminario era la pupilla dei suoi
occhi e da sempre aveva sentito la chiamata a cercare i germi di vocazione che
il Signore seminava in tanti giovani generosi e aiutarli a portare il frutto di
un sì generoso e totale. Per questo durante il suo episcopato, prima ad
Agrigento e dopo a Catania il Signore lo ha benedetto con l’abbondanza di tante
ordinazioni sacerdotali, dono prezioso e vitale per una Chiesa. Un dono a cui
rispondeva con l’impegno per un clero sempre più qualificato e santo.
Un amore, infine, per tutti. Sapeva entrare in empatia con chiunque, anche con
chi era lontano dalla esperienza religiosa. Il suo buonumore, la sua
dialettica, il suo carattere estroverso, faceva sì che riusciva a relazionarsi
con chiunque, con ogni uomo, di qualsiasi età, razza, estrazione sociale, tanto
che a Catania si arrivò ad identificare la persona con il ruolo. Quando lasciò
la Diocesi tanti catanesi si chiedevano: “E ora a chi fanno ‘Bommarito?”. Era
riuscito, come scrive Paolo, a farsi “tutto a tutti, per salvare ad ogni costo
qualcuno». Un mio confratello ha scritto: “Ti abbiamo amato, perché tu ci hai
amato con tutto il cuore”. Sono certo che continuerà ad amarci dal cielo.
L’amore, la gratitudine e la preghiera nostra, custodiranno il suo ricordo in
ciascuno di noi e ci uniranno per sempre a lui. (Don
Salvatore Alì)